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Guardarsi negli occhi

Guardarsi negli occhi

By adminIn La rubrica del neonatologoPosted Febbraio 12, 2018

Il feto inizia ad aprire gli occhi in utero verso le 27 settimane di gestazione, ed è una esperienza sensoriale che matura dopo che gli altri sensi si sono sviluppati; quindi dopo il tatto, il gusto, il senso dell’equilibrio, dopo che anche l’udito ha cominciato a funzionare.

E’ un’esperienza quindi che si forma quando il feto possiede già conoscenze ottenute attraverso tutti questi canali, saperi che verranno progressivamente resi più complessi dalle informazioni visive, che daranno completezza ai meccanismi che portano ad uno sviluppo psicomotorio ben integrato e regolare.

Sottolineo che è un’esperienza che si forma al buio, appena modulato dall’alternarsi di lontane luminosità filtrate attraverso il liquido amniotico, le pareti dell’utero e gli altri strati del corpo materno.

Si tratta di sensazioni quasi sempre accompagnate dall’ascolto della voce materna, e in alternativa il buio totale si accompagna alla sospensione dei messaggi uditivi, quando la madre dorme e tutto il mondo esterno si allontana.

Dopo la nascita, è stato osservato che anche un bambino prematuro (già dalle 32 settimane gestazionali) riesce per un attimo a fissare con lo sguardo un volto posto a distanza ravvicinata (quando è in braccio), a memorizzare quindi proprio il volto che sarà visto più frequentemente. Ogni volta che il viso si avvicina può essere messo a fuoco dal neonato con modalità più precise, i tratti diventano inconfondibili: se poi a quel volto si associa una voce già conosciuta con l’esperienza uditiva, ecco che non si può più sbagliare nell’identificazione.

Il viso e la voce della madre gli appartengono, è in un luogo e un tempo familiare.

Il bambino che nasce a termine, in breve tempo, già dopo qualche giorno, aggancia lo sguardo: guarda negli occhi di chi lo guarda e inizia a parlare. Inizia o meglio prosegue quel contatto vitale che nel giro di poche settimane diventa un colloquio, un parlarsi col desiderio di capirsi, di svelarsi progetti per la vita insieme.

Il bambino cattura con lo sguardo il pensiero della madre, costringendola a non abbandonarlo; il pensiero della madre corre sopra la soddisfazione di aver generato vita, nella consapevolezza di vivere un momento di grande potenza, che niente (difficoltà legate a malattia o socioeconomiche) o nessuno possono invalidare.

Il colloquio visivo si protrae finchè il piccolo chiude gli occhi nell’addormentamento e la madre può rivolgere la sua mente altrove. Ma non così lontano: mentre il figlio dorme però prendono piede le preoccupazioni; gli ho dato abbastanza da mangiare? Rigurgiterà? Cosa saranno quei puntini rosa comparsi da ieri sul viso e sul petto? Come posso proteggerlo dalle malattie? Sarà meglio non portarlo fuori casa? Quale mondo di incertezze lo aspetta?

Questo il vortice di domande per tutta la durata dell’intervallo tra due pasti, mentre il bambino dorme.

Ma al risveglio questa folla di pensieri scappa via, gli occhi si reincontrano, proseguono nella strada dove gli sguardi si intrecciano costruendo solidamente un linguaggio sempre più intimo.

E’ spontaneo per la madre avvicinarsi al figlio con un sorriso, con un volto che esprime lo sforzo di capire, dice “cosa vuoi, sono qui per te”.

Il legame si rinsalda, diventa via via più tenace, durerà per sempre.

Lo studio della funzione visiva, espresso ora con queste brevi semplici note che riguardano le primissime epoche della vita, ci fanno intuire l’importanza di un precoce esercizio del contatto visivo sia per la relazione del bambino con il mondo (la madre), sia per la comprensione via via più ampia e profonda degli eventi di cui è circondato (apprendimento e interpretazione di sensazioni emotive) .

La ripetizione quotidiana di esperienze visive intimamente legate alla relazione contribuisce a costruire un mondo di conoscenze (positive o negative, di fiducia o sfiducia), di riferimento per la formazione del proprio futuro mondo affettivo.

Quando siamo mamme di bambini piccolissimi non permettiamo che lo sguardo di nostro figlio cada sul volto di una madre che lo ignora, perché lo sguardo di lei è troppo spesso fisso sullo smartfone o tablet.

Se il bambino non avrà chi raccoglie il suo messaggio visivo imparerà a distogliere lo sguardo, a guardare altrove, oltre la madre, su cose lontane da un significato affettivo, che cancellano i sentimenti dello stare insieme, che possono portare verso l’isolamento e la chiusura in se stessi.

E’ un grosso problema oggi.

Dr.ssa Valeria Chiandotto

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