Il bambino fin dalle prime epoche della vita cerca di dare un significato alle proprie esperienze, e costruisce dentro di sé progressivamente un vissuto che costituisce la base del suo modo personale di stare nel mondo.
Ormai da molti anni abbiamo conoscenza dell’esistenza dei “neuroni specchio”, cioè delle cellule nervose del nostro cervello che si attivano in risposta a delle azioni compiute dagli altri, esattamente come se fossimo noi a compierle, in base alla comprensione dello scopo che le anima.
Così quando vediamo una persona che mangia davanti a noi un cioccolatino, si attivano in noi le cellule nervose cerebrali implicate nei gesti che sta facendo quella persona, rendendoci inconsciamente partecipi di questa azione, anche se rimaniamo fermi.
Anche quando vediamo una persona che piange per un avvenimento spiacevole si attiva in noi lo stesso tipo di neuroni che presiedono a quella funzione, col risultato che ci fanno partecipare con empatia, anche con lacrime, all’emozione provata di chi ci sta davanti.
E’ la trasposizione su di noi di una percezione visiva, che produce sempre un effetto, diverso e variabile in base alle nostre esperienze precedenti.
Anche le esperienze uditive, come ascoltare il racconto di una persona, sono in grado di attivare i nostri neuroni specchio.
Senza l’esistenza dei neuroni specchio avremmo difficoltà a capire le intenzioni e i gesti degli altri.
Per inciso, tutti noi sappiamo inoltre come siano maggiori le capacità diagnostiche e terapeutiche quando un medico o uno psicoterapeuta ascolta con partecipazione i sintomi e le sensazioni di un paziente, cioè cercando di attivare in modo empatico l’ascolto e l’immedesimazione.
Questo meccanismo è anche quello che ci permette di imparare cose nuove: infatti noi riusciamo ad imitare una nuova azione dopo averla osservata, anche se serve sempre una elaborazione nel nostro cervello per poterla eseguire al meglio.
L’osservazione dello sviluppo dei bambini nei primi anni di vita ci ha fatto capire quanto sia importante l’influenza dell’ambiente che li circonda; attraverso l’interazione con l’adulto che lo accudisce, principalmente la madre nei primi tempi, il neonato acquista progressive conoscenze e modula le sue risposte in base alla qualità degli stimoli che riceve.
Numerosi esperimenti fatti con registrazione video delle espressioni facciali del neonato hanno evidenziato che lo sguardo del piccolo si ferma più a lungo davanti ad un viso che davanti a degli oggetti inanimati. Inoltre l’attenzione è più duratura davanti ad un volto sorridente rispetto ad un volto che esprime ansia o nessuna emozione.
Questo fatto innesta una reazione per cui il bambino impara presto che sorridendo e vocalizzando attira l’attenzione emotiva del genitore e in generale di chi lo accudisce, e ciò porta ad incrementare una progressiva relazione, uno scambio reciproco di sentimenti; l’adulto sorride perché capisce il bambino, il bambino si fida dei messaggi di cui l’adulto è portatore.
Lo sviluppo della capacità di relazione con l’ambiente e l’adattamento ad esso, la cosiddetta “intelligenza sociale”, inizia quindi molto precocemente, e ci permette a nostra volta comportamenti di cura e di comprensione dei messaggi emotivi inviati dagli altri.
L’empatia dei genitori nel loro ruolo di accudimento condiziona questo sistema, in modo maggiore nelle prime epoche della vita, quando il cervello è particolarmente “plastico”, cioè suscettibile alle influenze ambientali.
Attraverso la video-registrazione si è visto che il bambino preferisce che l’adulto lo guardi direttamente negli occhi ; inoltre dopo i primi mesi di vita è stato osservato che il bambino guarda più a lungo una cosa che era stata oggetto di attenzione visiva da parte dell’adulto rispetto ad un oggetto “sconosciuto”; questo fatto ci dice che oltre alla relazione lo sguardo del genitore condiziona anche la conoscenza dell’ambiente da parte del bambino, attraverso la scelta di attenzioni selettive.
In conclusione il bambino si inserisce nell’ambiente attraverso processi inevitabili di apprendimento che tracciano molto precocemente il suo sistema di relazione futuro; non solo, anche gli apprendimenti assumono complessità sempre maggiore in rapporto alla quantità e qualità degli stimoli forniti.
Scambiare uno sguardo, un sorriso, permettere che il bambino interagisca in modo attivo con l’ambiente, favorire la sua partecipazione in un rapporto diretto con chi gli sta accanto, tutto ciò contribuisce a far crescere un piccolo uomo curioso e consapevole che la nostra esistenza acquista ricchezza e valore nel saper stare in mezzo agli altri.
Dr.ssa Valeria Chiandotto